#03 • Andare con senso

Il cardo e il decumano erano la matrice su cui veniva costruita la città romana. Tutte le città di fondazione romana si portano letteralmente questa croce.

Bologna, così come ci appare oggi, è il prodotto, come in molte altre città italiane, del raziocinio sette-ottocentesco e delle trasformazioni di epoca fascista e postbellica, fasi in cui evidentemente si provava un certo godimento nello sventrare il centro in grandi stradoni rettilinei, nel perenne inganno di poterla ridurre all’ordine, alla pulizia e alla disciplina.

È una cosa che tutti gli occidentali hanno nel DNA. Forse lo avrei fatto anche io se avessi dovuto pensare a come organizzare la vita di migliaia di persone. Ma questa fatica la lascio a chi sta dalla parte sbagliata della barricata. Io metto le garze e cambio le bende.

Saranno minimo 150 anni che le loro esigenze retoriche, funzionali e speculative, plasmano la forma e l’aspetto della città, in modo ora selettivo ora estensivo.

L’urbanistica è sempre stata usata dal potere come strumento e mezzo di rappresentazione e controllo, per sorvegliare e punire, per evitare che la città diventasse nascondiglio e improvvisato fortilizio di quelle forze irriducibili ad un ordine, più o meno aristocratico, più o meno borghese, che rappresentavano una minaccia alla sua sopravvivenza. Ch’at végna un azidànt! E se ci fate caso guardando la planimetria di città come Roma o Parigi, da un capo all’altro di queste strade sono stati piazzati monumenti e simboli di autorappresentazione del potere, obelischi, chiese, altari della patria. La storia e lo spazio piegate alle esigenze militari e retoriche. “Io sono al di sopra di voi (quindi) io vi osservo, io vi dirigo.” Una frase che avrebbero potuto benissimo dire in coro Sisto V, Haussmann e Mussolini.

Gli assi sono un gesto di violenza pura, come la fotografia. Pure espressioni del maschile, penetrano un tessuto preesistente, lo selezionano, vi si impongono, escludono, negano, affermano, congelano. A maggior ragione li ho voluti interpretare e cortocircuitare come spazi cavi, femmina, che offrono la ferita del tessuto urbano a un’inconsapevole cura collettiva. Quegli assi sono gentilezza e trauma.

Mentre li percorrevo è nato in me il desiderio di riscattare quello spazio, Credetemi non è stato facile. 49 chilometri ragazzi. 49 chilometri di camminata per tentare di metterci un cerotto, ma credetemi che non esiste migliore fatica di quella che ti fa fare chi ami.

Che cos’è che può inserire un elemento di gentilezza nella violenza di un gesto lacerante? L’ascolto. L’ascolto è la parola guida e la metafora stessa di tutto questo omaggio a Bologna, e mi sembrava giusto dargli spazio, e dargli proprio lo spazio più sensibile, denso e vitale del suo corpo urbano. Ho quindi attraversato i 5 grandi assi che tagliano la città da un capo all’altro, in ogni direzione, partendo dalla via Emilia, che la divide (come quasi in tutte le città sorte lungo questo asse viario d’epoca romana). La via Emilia scorre dritta come una lacrima da Rimini a Piacenza e da lì fino a Milano. Dentro Bologna è formata dalle strade San Felice-Bassi-Rizzoli-Strada Maggiore.

Costruendo dei dispositivi di visione, su questi assi, sarebbe stato difficile evitare immagini stereotipate (più o meno “autoriali”, "creative" e “originali”) che siamo abituati a vedere nelle cartoline. D'altro canto, se mi fossi messa a costruire unicamente dei dispositivi di visione, avrei forse sovrascritto il setaccio delle porte, che quello stesso spazio osserva. Ho cercato quindi di costruire un dispositivo capace di sfiorare la realtà anche attraverso altri sensi. Percorrendo quegli assi, concentrata unicamente sui suoni e sui rumori, mi sono resa conto di quanto il nostro udito sia pigro, quanto sia difficile e faticoso mantenerlo concentrato, e quanto questa pigrizia (o selettività) deleghi molto, troppo, alla vista, che a sua volta è sempre più un vedere che un guardare. Non siamo abituati a percorrere lo spazio con i sensi attivi, con senso.

Quindi, armata della mia non presenza e di un registratore niente affatto male (sebbene Muce, che ne ha editato i risultati brontolando per tutto il tempo, non sia dello stesso parere), sono partita da una porta e ho intercettato con un piano sequenza tutti i suoni prodotti dalla città di giorno. Poi ho fatto lo stesso percorso, ma a ritroso, di notte. Quest’operazione ha prodotto una stereofonia discronica e distopica che è forse riuscita a restituire in parte la voce di Bologna in quei momenti e in quello spazio.

Ascoltandola potrete quindi sentire da una parte i suoni della città di giorno e dall’altra di notte. Si percepisce lo spazio che avanza che, venendo attraversato da due estremi opposti, va di fatto incontro a se stesso. Questi audio infatti si incontrano a metà strada e in questo punto si scambiano la stereofonia (questo però a Muce è piaciuto molto). E quando mi capita di passare attraverso quegli assi, mi metto le cuffiette e riascolto quella registrazione, e mi ricordo. E nel ricordo aggiungo elementi del presente a cui mi aggrappo solo per poterlo rivivere più intensamente, ed è una sensazione incredible. Provatela!

Ci sono state delle situazioni in cui sentivamo e basta, senza riuscire a capire l’oggetto che producesse quei suoni. Naturalmente anche nella registrazione dei suoni ho fatto del mio meglio per azzerarmi il più possibile, ho sottratto la mia voce (ma non sono riuscita ad alleggerirmi abbastanza per sottrarre anche il ritmo dei miei passi) per poi scoprire con sorpresa di aver attivato tutto il mio corpo. Sai quando vai a fare snorkeling con gli amici in un bellissimo fondale marino ai Caraibi e vedi un corallo largo quanto il tuo pugno (a chi non capita!), e per comunicarlo ti sbracci, cerchi lo sguardo, indichi, ti dimeni come una cernia innamorata (chi non si è mai imbattuto in una cernia innamorata!)? Uguale. Succedeva soprattutto quando andavamo in giro di notte. Il nostro orecchio "aumentato" intuiva spesso lontano un sibilo, un ronzio e non sapevamo da dove diavolo partisse e cominciavamo a cercarlo come rabdomanti e nel frattempo, in lontananza, c’erano delle voci, una lite che noi sentivamo e non potevamo vedere, ma di cui pochi istanti dopo abbiamo visto il risultato. Lei che andava via. Ma lui restava ad aspettarla, ed io ero già oltre. E continuavo a vagare in mezzo alla strada. Come se stessimo rincorrendo le farfalle.

Un po' di numeri > Somma dei singoli assi raddoppiata giorno/notte = 41,96 km + 263,13 minuti di piano sequenza audio